Nel mese di dicembre il liceo “Montanari” ha indetto il bando di concorso per poesie inedite dal titolo “La voce giovane della poesia”, aperto a tutti gli studenti dell’istituto.
Questo concorso è stato organizzato per la prima volta dalla Commissione biblioteca ed eventi culturali l’anno scorso ed io vi ho preso parte. É stata un’esperienza davvero unica. Trovarmi faccia a faccia con dei poeti e il solo fatto che abbiano letto le mie poesie mi ha dato i brividi. Brividi buoni, quelli che fanno crescere per il giudizio di qualcuno che ne sa di più. Ho ricevuto una menzione speciale per una delle mie poesie, ovvero un riconoscimento da parte di un poeta a cui è piaciuta una mia poesia. Appena ho sentito il mio nome sono rimasta sorpresa, ero andata alla premiazione con il presupposto di guardare la vittoria di qualcun altro, mai avrei pensato di ritrovarmi lì in piedi davanti ad una trentina di persone che ascoltavano le mie parole – i più timidi non si lascino intimorire da questa situazione, perché far sentire agli altri le parole che si sono scritte fa stare meglio-.
Il mio professore di italiano spesso mi chiede se scrivo per me o con la speranza che qualcuno ascolti le mie parole, la verità è che si verificano entrambe le cose. Quando scriviamo qualcosa di significativo, o di rappresentativo dei nostri pensieri come una poesia, ci troviamo di fronte ad un dialogo con noi stessi. Ma perché lasciar scorrere queste parole da qualche parte? Perché scriverle? Ho sempre paura delle cose scritte, perché so che rimangono per sempre, ma so anche che, nel bene e nel male, arriverà qualcuno a leggerle e a sentirle. Ognuno interpreta una poesia diversamente in base al suo vissuto, ma la cosa più bella è sapere che qualcuno si ritrova nelle parole di chi le ha composte. Spesso ci sentiamo spaesati o sbagliati rispetto alla realtà circostante e sapere che qualcuno proverà emozioni diverse nel leggere le nostre parole è affascinante. Al di là del concorso, questo è un modo per dare voce ai nostri pensieri, ai turbamenti che spesso non riusciamo a spiegare, a quei concetti che nella nostra testa sembrano chiari e composti, ma a parole perdono di significato e l’unico modo per esprimerli è scrivere. A volte nemmeno scriverli basta, ma continuiamo a farlo perché speriamo arrivi il momento in cui tutto sembrerà perfetto, chiaro, utilizzando le parole giuste. Anche quando arriverà quel momento, le parole non saranno mai abbastanza. In fondo l’uomo è così, non si accontenta mai, e noi adolescenti in particolare quando abbiamo bisogno di esprimerci. Ogni volta ci sentiamo strani, “disintegrati” o anche felici, emozionati, impulsivi, in qualsiasi modo, e ci ritroviamo sempre e inevitabilmente soli nelle nostre preoccupazioni e sensazioni. Navighiamo nei nostri pensieri e nelle nostre parole, di solito non dette, ed è in quel momento che ognuno di noi diventa poesia. Sentiamo un bisogno profondo che qualcuno ci guardi, che qualcuno ci ascolti, ma rimaniamo in silenzio ad aspettare quel qualcuno.
Il tema del concorso di poesie di quest’anno è “Il silenzio è infinità”. Questo per dire che nei nostri silenzi ci sono troppe parole che aspettano solo di essere ascoltate. Questi silenzi sono assenze, perdite e cose non dette, ma sono anche la speranza che arrivi una voce, un rumore, una melodia, che ci tolga dall’infinità di questi angoscianti e tormentati silenzi. Lasciatevi andare e scrivete quello che vi passa per la testa, quindi. Date voce al vostro silenzio e diventate quel qualcuno che pensate di star aspettando.
Yaqub Sindhu Komal